
Vendere prodotti usati senza violare il marchio
L’ultima tendenza della moda è dare nuova vita a capi usati.
Acquistare capi di seconda mano ha un minore impatto ambientale, fa risparmiare e offre una maggiore possibilità di circolazione dei prodotti.
Il boom del riciclo, tra cui l’upcycling o riuso creativo, ha contribuito a ridurre lo stigma sociale legato all’acquisto di oggetti di seconda mano.
E infatti il fenomeno dell’upcycling è ormai sfruttato anche dai grandi marchi.
Le parole dei prodotti usati
Vintage, seconda mano, preloved sono tutti termini che descrivono beni usati. Ma li rivestono di un allure sofisticata.
“Vintage” indica oggetti che hanno almeno 20 anni e che sono diventati nel tempo di culto perché prodotti con materiali di alta qualità.
“Di seconda mano” generalmente si riferisce a beni usati.
Mentre il termine “preloved” descrive un oggetto che è stato precedentemente posseduto ma rimanda anche a un legame quasi sentimentale tra l’oggetto e il precedente proprietario. Che lo ha trattato, appunto, con amore.
Così, complice anche la pandemia che ci ha avvicinati tutti allo shopping online, siti e-commerce e marketplace offrono in vendita borse e capi vintage, rigorosamente originali e garantiti.

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Vendere un bene usato nel rispetto del marchio
Spesso i venditori, prima di rivendere i prodotti usati, li rinnovano per renderli unici. Ma in queste modifiche non devono violare la proprietà intellettuale e, in particolare, il marchio.
Il marchio, infatti, è l’elemento che distingue i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. E’ il legame per il consumatore tra l’azienda e i prodotti che vende.
Dalla sua funzione distintiva derivano anche altre due funzioni del marchio:
- quella di garanzia
- quella pubblicitaria
Questi aspetti assumono particolare valore nei brand più famosi, che hanno la forza di attrarre i clienti anche indipendentemente dall’origine o dalla qualità del prodotto che vendono.
Ma anche il titolare di un marchio rinomato non può approfittare della sua notorietà per essere esonerato dal principio dell’esaurimento. Che traccia il limite dei diritti esclusivi conferiti dalla registrazione.
Cosa prevede il Codice di Proprietà Industriale per la violazione del marchio
L’art. 5 del Codice della proprietà industriale prevede, infatti, che “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”.
Questa limitazione dei poteri del titolare tuttavia non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.
Il titolare del marchio non può dunque controllare la distribuzione dei prodotti contraddistinti dalla privativa dopo che vengono messi in commercio dal titolare.
Quindi i brand non possono lamentare la contraffazione del marchio nell’ipotesi di rivendita da parte di terzi di beni usati. A condizione che gli stessi siano autentici e inalterati.
Con dei limiti: quando un bene contraddistinto da un marchio viene modificato e successivamente commercializzato a terzi esiste un potenziale rischio di confusione per il consumatore finale circa l’origine del bene e le sue qualità.

Photo by Sébastien Chiron on Unsplash
Ma quando i prodotti usati rappresentano una potenziale contraffazione di un marchio?
Nel corso degli anni, diverse case di moda hanno sostenuto che prodotti di seconda mano autentici, una volta modificati, diano vita a una violazione del loro marchio. Chiedendo l’accertamento del reato di contraffazione, concorrenza sleale e pubblicità ingannevole.
Soprattutto nei confronti dei rivenditori online. E’ pur vero che gli acquisti effettuati online accrescono il pericolo di confusione, dal momento che gli utenti non possono verificare e toccare i prodotti.
Ma l’ulteriore situazione in cui si può verificare una contraffazione del marchio è quella in cui il rivenditore non solo modifica il bene usato, ma lo pubblicizza come se fosse un altro modello originale dello stesso brand.
In conclusione, se l’acquisto di prodotti usati è da valorizzare per le sue finalità etiche ed ecologiche, allo stesso tempo i rivenditori devono rispettare la proprietà intellettuale dei brand originari.
E la vendita non deve tradursi in una tacita appropriazione del marchio. Il venditore deve tenere un comportamento trasparente e rispettoso delle regole sulla concorrenza, mantenendo l’autenticità del prodotto originale e specificando eventuali modifiche.
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