
Rinuncio al marchio e creo fiducia
Sapori e dintorni, Fidel, Viviverde, Blues, Benesì, Bottega del gusto…l’elenco è lunghissimo perché ne nascono a ripetizione.
Sono i marchi senza marchio, i cibi «no logo».
Prodotti da aziende alimentari famose che però realizzano una parte sempre più crescente della loro produzione senza apporre sulle etichette il loro nome.
Prodotti a marchio che rinunciano al marchio.
Sembra una contraddizione alle sacre e redditizie regole del marketing, ma non è così.
Tant’è vero che gli alimenti «private label», ossia messi in commercio con il marchio del distributore e non del produttore, sono sempre più diffusi nelle catene dei supermercati europei, Italia inclusa.
Tendenza di moda o mossa geniale?
La vendita di prodotti a marchio “proprio” non ha nulla in comune con la scelta di non esibire marchi su vestiti o borse oppure con le pompe di benzina «no logo» o con i farmaci generici.
Quella che nell’abbigliamento può essere una tendenza low cost, cioè trascurare le griffe per acquistare nei grandi magazzini dove si trova di tutto, vale soltanto in minima parte per il cibo.
In questo settore il consumatore chiede, infatti, garanzie e qualità anche quando cerca di risparmiare.
Nei supermercati le vendite a etichetta privata rappresentano il 35% del giro d’affari dei produttori. Con nomi tutt’altro che sconosciuti.
Galbusera sforna biscotti poi venduti con le insegne di Esselunga, Coop, Auchan.
Colussi lavora per Conad ed Eurospin.
La pasta a marchio Esselunga è prodotta da Agnesi mentre Rummo, Zara e Liguori la forniscono a Coop, Conad e Lidl.
Conserve Italia etichetta la sua passata di pomodoro con i marchi di Coop e Conad al contrario di Esselunga che preferisce Mutti.
Le varietà di prodotti a brand privato coprono tutte le corsie della grande distribuzione.
Bauli e Maina, Norda e Guizza, Pellini e Vergnano, Farchioni e Monini, Curti e Scotti, Algida e Sammontana sono soltanto alcune delle 1.500 piccole e medie imprese alimentari che commercializzano i loro prodotti con i loghi delle catene commerciali, anche straniere.
I consumatori più attenti controllano gli ingredienti sulle confezioni: perché pagare di più per il prodotto di marca?
È stato sdoganato il low cost anche nel settore alimentare in favore di un acquisto consapevole ed essenziale.
Per i consumatori il vantaggio lo si misura immediatamente quando si passa alla cassa.
Ma il vantaggio per le aziende?
Accanto al prezzo, un altro fenomeno ha contribuito a consolidare questo nuove tendenze.
Visto che il maggior costo dei prodotti di marca è dovuto alle spese di comunicazione, nei consumatori è subentrata una certa sfiducia verso i produttori a vantaggio dei distributori.
In questo modo chi acquista si convince che la differenza di prezzo non sia dovuta a una minore qualità, ma all’assenza dei costi pubblicitari.
Le grandi catene commerciali si propongono, quindi, come coloro che fanno i veri interessi di chi acquista perché sono in grado di vendere prodotti di qualità a minor prezzo a patto di rinunciare al marchio.
Con i propri marchi la grande distribuzione si fa garante tra chi produce e chi acquista.
Ma il private label non è un no logo, ma un altro logo. Perché il marchio continua a esserci, solo che è quello del distributore.
Eliminare il marchio diventa, quindi, il modo con cui le catene fidelizzano il consumatore, lo prendono per mano e lo convincono che sono loro ad aver sostituito la figura del vecchio bottegaio di fiducia e ciò che rappresentava.
Il tuo marchio è il tuo patrimonio.
Se lo hai protetto nel modo corretto puoi anche rinunciarci e se il tuo prodotto è di valore puoi addirittura taroccarlo.
E crei un rapporto di maggior fiducia con il tuo cliente.
Per ulteriori approfondimenti o per avere maggiori informazioni contattami. Insieme troveremo il modo migliore per difendere il tuo marchio e la tua azienda.
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