Post 4. Il Codice del Consumo dalla parte del consumatore. Il diritto di recesso.

Il Codice del Consumo dalla parte del consumatore. Il recesso approfondito su Lex Around Me.

Post 4. Il Codice del Consumo dalla parte del consumatore. Il diritto di recesso.

Nei contratti con i consumatori, laddove è previsto, si applica il diritto di recesso, cioè quello di “ripensamento” entro un dato intervallo di tempo.

L’art. 52 del Codice del Consumo stabilisce che il consumatore abbia a disposizione 14 giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali “senza dover fornire alcuna motivazione” e senza, normalmente, dover sostenere dei costi per l’esercizio del diritto.

Con riferimento ai costi, il diritto di ripensamento può prevedere che il consumatore debba sostenere il costo diretto della restituzione dei beni. Fatto salvo quando il professionista abbia concordato che il costo sia a suo carico ovvero abbia omesso di informare il consumatore che è tenuto, in caso di esercizio del diritto di recesso, a sostenere il costo “diretto” della restituzione.

I 14 giorni previsti a vantaggio del consumatore iniziano a decorrere in momenti diversi, a seconda di quando il consumatore è posto nella disponibilità “effettiva” dell’oggetto del contratto.

Nel caso di contratti di vendita, il termine decorre dal giorno in cui il consumatore acquisisce il possesso fisico del bene.

Qualora il destinatario del bene sia un terzo designato dal consumatore, si fa riferimento al momento in cui questi acquisisce detto possesso.

La consegna al vettore – se operata, come da prassi, dal professionista – non vale come consegna al consumatore (o al terzo) a meno che il vettore non sia un mandatario del consumatore stesso. In questo caso, l’avvenuta consegna al vettore è come se fosse effettuata “direttamente” nelle mani del consumatore. La disposizione sembra escludere sempre il vettore come soggetto “titolato” a ricevere la consegna ma questo non può escludere un rapporto diretto tra consumatore e (il suo) vettore.

Qualora il contratto riguardi la somministrazione di beni durante un certo periodo di tempo tramite la consegna periodica di detti beni, il termine per il recesso decorre dal giorno in cui il consumatore acquisisce il possesso fisico del primo bene. Tale soluzione appare scontata, posto che si tratta della consegna, in successione, di una serie di beni (che si suppone identici), per cui il consumatore deve “contestare” la fornitura dopo aver valutato il primo bene ricevuto.

In caso di servizi, nella difficoltà di segnare il momento esatto in cui il consumatore vi “accede” e, quindi non lasciare il professionista in una sostanziale incertezza, la decorrenza è fissata dal giorno della conclusione del contratto.

Lo stesso vale per la fornitura di acqua, gas, elettricità (non messi in vendita in volume o quantità determinata) per il teleriscaldamento e, infine, per i contenuti digitali fruiti direttamente on line (o, come indica la disposizione, “non fornito su supporto materiale”).

In pendenza del termine per il recesso, le parti possono adempiere ai rispettivi obblighi. Fatto salvo il caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, rispetto ai quali il professionista non può accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a 15 giorni (dalla conclusione del contratto se riguarda servizi, ovvero dal giorno di acquisizione del possesso fisico se riguarda beni) né può presentarli all’incasso prima che sia decorso il tempo previsto per la decisione del recesso.

L’art. 53, co. 1 del Codice del Consumo prevede che nel caso in cui il professionista abbia omesso di indicare le informazioni sul diritto di recesso il termine di 14 giorni in favore del consumatore viene prolungato di 12 mesi aggiuntivi. Se entro il termine di 12 mesi dalla data in cui sarebbe decorso il diritto di recesso (di cui il consumatore non è stato informato), il professionista fornisce al consumatore le informazioni dovute, dal giorno dopo di quello di detta comunicazione decorrono 14 giorni.

L’esercizio del diritto di recesso consiste in una dichiarazione resa prima della scadenza del termine previsto – ordinario o “prorogato” dall’assenza di informazione – attraverso la quale il consumatore informa il professionista della sua decisione di recedere dal contratto concluso.

Tale dichiarazione può essere resa secondo le seguenti modalità alternative:

  • attraverso il modello-tipo di recesso contenuto nell’Allegato I, parte B al Codice del consumo
  • utilizzando una comunicazione in forma libera, a condizione che contenga una dichiarazione esplicita della volontà di recedere dal contratto (e tutti gli elementi necessari: destinatario, elementi di identificazione del contratto, ecc…).

La dichiarazione che riguarda l’esercizio del diritto di recesso deve risultare riconducibile al titolare del diritto ma non appare necessaria la sottoscrizione della comunicazione di recesso da parte di chi abbia “stipulato il contratto”.

L’onere della prova di aver esercitato il diritto di recesso in conformità al Codice del Consumo e’ posto a carico del consumatore.

Con l’esercizio del diritto di recesso si pone termine agli obblighi delle parti derivanti dal contratto concluso, ossia l’esecuzione del contratto negoziato fuori dai locali commerciali o a distanza, e quelli di concludere detti contratti quando si tratti di una offerta presentata al consumatore.

Fatta eccezione dei contratti di credito al consumo, quando un consumatore esercita il diritto di recesso “sono risolti di diritto” gli eventuali contratti accessori, senza che questo comporti costi, tranne quelli relativi alla restituzione dei beni (o la scelta di un mezzo di riconsegna più oneroso di quello posto a disposizione da parte del professionista).

Le conseguenze dell’esercizio del diritto di recesso sono ripartite tra i protagonisti della vicenda negoziale e si configurano quali effetti “ordinari” della conclusione (o del mancato inizio) del rapporto tra le parti, cioè del “ripristino” della precedente situazione.

 

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