
Post 1. Il Codice del Consumo dalla parte dell’azienda. Diritti e clausole vessatorie.
Il Codice del Consumo, emanato con il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ha rappresentato una svolta importante nella tutela dei consumatori, soprattutto per la rilevanza assunta nelle pratiche commerciali.
Dall’interpretazione letterale del Codice del Consumo non sono considerati consumatori:
- le persone giuridiche
- gli enti diversi dalle persone fisiche (associazioni, fondazioni, comitati, scuola ed università)
- i professionisti (anche persone fisiche) o gli imprenditori (anche le ditte individuali) che concludono un contratto per finalità professionali/imprenditoriali
Le tutele del Codice del Consumo non si applicano, perciò, tutte le volte in cui le modalità d’acquisto o altre circostanze evidenzino con ragionevole certezza che esso non è finalizzato al consumo privato. Ad es. la richiesta della fattura, con l’indicazione della partita IVA, lascia in teoria presumere le finalità professionali dell’acquisto escludendo l’applicabilità delle disposizioni del Codice del Consumo.
I punti fondamentali della disciplina che ogni professionista deve tenere a mente sono:
- I diritti dei consumatori
- Le clausole vessatorie nei contratti conclusi con il consumatore
- Le pratiche commerciali scorrette
- La garanzia post vendita dei beni di consumo
- Il recesso
In questo post approfondirò l’aspetto dei diritti dei consumatori e le clausole vessatorie.
I diritti dei consumatori
I diritti dei consumatori sono elencati all’art. 2 del Codice del Consumo e consistono principalmente in:
Diritto alla salute e alla sicurezza dei consumatori
Nel mercato possono essere immessi solo prodotti che non presentino pericoli per la salute e la sicurezza dei consumatori.
Ogni prodotto commercializzato deve essere sicuro, ossia in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, non deve presentare nessun rischio – o soltanto rischi ridotti – compatibili con il suo utilizzo e considerati accettabili secondo un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza dei consumatori.
Un prodotto è considerato sicuro se è conforme alle disposizioni specifiche relative alla sicurezza. Esistono, infatti, una serie di norme che riguardano alcune categorie di prodotti specifici (ad es. i giocattoli, gli ascensori, i dispositivi medici, ecc..).
In mancanza di tali regolamentazioni, un prodotto è sicuro quando risponde a una legittima attesa di sicurezza del consumatore, che utilizza il prodotto in condizioni normali o ragionevolmente prevedibili: uso, messa in servizio o manutenzione del prodotto.
Diritto all’educazione al consumo
Il diritto all’educazione al consumo, come diritto fondamentale del consumatore, è disciplinato dall’art. 4 del Codice del Consumo e si sostanzia nella predisposizione di attività rivolte ai consumatori, svolte da soggetti pubblici o privati, e dirette a rendere evidenti le caratteristiche di beni e servizi così come chiaramente percepibili costi e benefici, vantaggi e svantaggi conseguenti a una scelta di consumo.
L’educazione al consumo consiste nella predisposizione di strumenti informativi utilizzati per istruire il consumatore sul funzionamento dell’economia di mercato, sui prodotti e i servizi, sulle fonti di informazione, su come difendere i propri interessi. Inoltre, aiuta a formare un comportamento adeguato per raggiungere interessi individuali e/o collettivi.
Supportare i consumatori nei loro tentativi di organizzare la loro vita quotidiana in modo sostenibile e nel rispetto delle risorse disponibili garantisce la possibilità di acquisire una consapevolezza dei propri diritti e interessi, al fine di poter essere in grado di compiere una scelta “consapevole” nell’acquisto di beni e/o nella fruizione di servizi.
Diritto del consumatore all’informazione: una corretta pubblicità e adeguate istruzioni
Il consumatore deve essere informato per poter scegliere fra i vari servizi offerti; per questo è necessaria un’adeguata e obiettiva informazione sulle caratteristiche e sui prezzi dei prodotti.
Il diritto a un’adeguata informazione e a una corretta pubblicità si risolve in tutta una serie di obblighi e limitazioni per i produttori, in quanto i consumatori non dispongono sempre degli strumenti adeguati per poter distinguere eventuali informazioni non veritiere oppure non corrette.
Le informazioni al consumatore devono essere chiare e comprensibili e devono sempre comprendere le indicazioni in materia di sicurezza, composizione e qualità dei prodotti.
Il diritto a una corretta pubblicità si esaurisce nel rispetto di alcuni limiti e proibizioni per il venditore al fine di trasmettere al consumatore un messaggio chiaro e trasparente.
Diritto a pratiche commerciali corrette
Il diritto all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà può essere definito come l’obbligo per il venditore di non fornire al consumatore indicazioni che possano alterare sensibilmente la sua capacità di scelta, “inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) controlla la correttezza dei messaggi pubblicitari e delle pratiche commerciali e i cittadini possono rivolgersi per segnalazioni, direttamente oppure tramite le associazioni dei consumatori.
Diritto alla correttezza, alla trasparenza e all’equità nei rapporti contrattuali
Per diritto alla correttezza, alla trasparenza e all’equità nei rapporti contrattuali si intende la predisposizione e formulazione delle norme contrattuali in modo chiaro, comprensibile, completo e leggibile. Il contenuto deve essere considerato “giusto” da entrambe le parti, con formulazioni che non siano fuorvianti nei contratti conclusi dai consumatori
Tutto questo fermo restando il diritto all’autonomia contrattuale, per cui le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto, e il rispetto degli obblighi imperativi, ossia l’impossibilità di escludere tra i contenuti del contratto le disposizioni a tutela dei consumatori.
Questo per riequilibrare la posizione del consumatore rispetto a quella della controparte professionale, dotata di maggiori conoscenze tecniche, maggiori risorse, maggiore forza contrattuale e capacità di influire sulle sorti del rapporto.
Le clausole vessatorie nei contratti conclusi con il consumatore
Il Codice del Consumo non fornisce un elenco di clausole da considerarsi tassativamente vessatorie.
In linea di principio, si ravvisa la presenza di clausole vessatorie quando si presuppone che vi sia stata una “predisposizione unilaterale del contratto da parte del professionista tale da impedire una contrattazione specifica sulle condizioni contrattuali e che ad essa sia seguito un disequilibrio della posizione del consumatore nel contesto contrattuale”.
Si definiscono genericamente vessatorie le clausole che determinano uno squilibrio giuridico delle posizioni contrattuali tra le parti – vale a dire uno squilibrio dei reciproci diritti e obblighi in misura significativa – considerata la natura del bene o servizio oggetto del contratto, le circostanze esistenti al tempo della sua conclusione, le altre clausole presenti o il contenuto di un altro contratto collegato o dipendente da quello sottoscritto.
Le clausole proposte al consumatore per iscritto devono soddisfare il requisito della trasparenza, ossia la loro redazione deve essere chiara e comprensibile.
Sarà onere del professionista provare che le clausole del contratto sono state oggetto di specifica trattativa con il consumatore, ancorché unilateralmente predisposte, e che l’assetto contrattuale complessivo sia tale da annullare ogni squilibrio a discapito del consumatore.
In caso di dubbio interpretativo sulla clausola, il codice prevede l’interpretazione più favorevole al consumatore.
Il Codice del Consumo dispone una tutela amministrativa contro le clausole vessatorie, autorizzando l’AGCM (l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) a intervenire, anche d’ufficio, perché dichiari la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori conclusi mediante adesione a condizioni di contratto o con la sottoscrizione di moduli o formulari.
In caso di inottemperanza al provvedimento emesso dall’Autorità la disciplina prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria con previsione di somme maggiori a seguito del riscontro di informazioni o documentazioni non veritiere all’interno del contratto.
Di particolare rilievo è la previsione secondo cui le imprese hanno la facoltà di interpellare l’AGCM con riferimento alle clausole contrattuali che intendono predisporre nei contratti con i consumatori.
Attraverso lo strumento dell’interpello, infatti, si accorda alle imprese la possibilità di avere preventivamente un parere – privo in quanto tale di carattere sanzionatorio – sull’eventuale natura vessatoria delle clausole che intendono adottare. Questo consente di intervenire preventivamente sulle future stipulazioni contrattuali contenenti clausole potenzialmente vessatorie che, in quanto tali, sono soggette a censura.
Se sei interessato ad approfondire gli altri aspetti della tutela continua nella lettura del prossimo post Le pratiche commerciali scorrette e poi contattami.
Codice del #Consumo dalla parte dell'azienda @confcommerciomi Condividi il Tweet