I marchi sopravvivono al fallimento?

I marchi sopravvivono al fallimento?

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Se una società va in bancarotta, cosa succede alle sue proprietà intellettuali?

Nonostante si possa pensare che il valore dei segni distintivi di un imprenditore o di un’impresa fallita possano essere di scarsa rilevanza dopo il fallimento, visto il deterioramento inevitabile dell’immagine e il discredito che il fallimento porta con sé, non è sempre necessariamente così.

Può avvenire, infatti, che falliscano imprenditori titolari di marchi evocativi, celebri o rinomati il cui valore difficilmente può essere compromesso dalle vicende del titolare.

Negli ultimi anni ne abbiamo viste parecchie di aziende famose il cui marchio continua ad avere il suo valore.

Il valore, quindi, di questi segni potrebbe essere sicuramente ridotto ma mai completamente azzerato.

Se questo può valere per i segni distintivi dell’imprenditore fallito, che sono soggetti a valutazioni soggettive del pubblico dei consumatori e che riguardano poi prevalentemente l’immagine dell’impresa e potrebbero essere condizionati dalle vicende di dissesto dell’impresa stessa, a maggior ragione è valido per le invenzioni o i modelli industriali, oggetto di valutazioni che sono completamente indipendenti dal fatto che l’impresa sia fallita o meno.

Inoltre la proprietà intellettuale di una società costituisce a tutti gli effetti parte del suo patrimonio. L’ho detto mille volte, ha un valore economico, è il patrimonio della tua azienda.

Quindi può essere valorizzata economicamente, ceduta o venduta attraverso i contratti di cessione o di licenza (pensa al marchio o al brevetto in particolare).

In sede fallimentare, questi diritti di proprietà intellettuale assumono la rilevanza di beni immateriali da monetizzare, intendendo per beni immateriali:

  • brevetti d’invenzione
  • brevetti per modello o disegno industriale
  • segreti industriali
  • know how
  • marchi
  • ditta e gli altri segni distintivi non registrati
  • diritti d’autore.

Per quanto riguarda i brevetti e i marchi registrati dal fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore li può inserire all’attivo della società direttamente.

Quindi nel caso in cui i beni appartengano al fallito si assiste a una sorta di spossessamento. Che da un lato serve a evitare che il fallito possa compromettere il proprio patrimonio, quindi svendendo o cedendo il marchio, disfandosene. Dall’altro a consentire che l’attivo fallimentare possa essere gestito e liquidato nell’interesse dei creditori.

Nel caso, invece, in cui il fallito risulti titolare di marchi o brevetti oggetto di concessione in godimento a terzi oppure il fallito abbia in uso (in virtù di un contratto di godimento) un marchio o un brevetto di cui non è il titolare, il contratto, intervenuto il fallimento, viene sospeso.

Fino a quando il curatore, dopo l’autorizzazione da parte del comitato dei creditori, possa o dichiarare di subentrare in luogo del fallito nel contratto stesso oppure lo dichiari risolto a seguito del fallimento.

Questo è l’aspetto principale del marchio dopo le vicende di dissesto di una società o comunque del titolare del marchio stesso.

Cosa vuol dire?

Che il marchio ha un valore economico e patrimoniale che va anche oltre la durata della società e quindi è importante sempre tutelarlo al meglio e valorizzarlo nel migliore dei modi.

Anche perché i marchi sopravvivono al fallimento.

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