Contraffazione e Made in Italy

CONTRAFFAZIONE E MADE IN ITALY LEX AROUND ME

Contraffazione e Made in Italy

L’Italia, si sa, è la patria del buon cibo e del buon vino.

Ma soprattutto del buon affare, se si pensa che il consumo all’estero dei prodotti italiani ha fatto registrare un record storico nelle esportazioni con un balzo dell’8,9% nel 2021. Dopo essere stato l’unico settore in crescita anche nell’anno precedente con un valore di 46,1 miliardi. (Fonte Coldiretti, 20 luglio 2021)

Ma i prodotti alimentari Made in Italy sono anche quelli più contraffatti.

Dal Parmigiano Reggiano, importato dall’estero e spacciato per italiano, all’olio extravergine d’oliva colorato artificialmente, passando per le mozzarelle di bufala prodotte con cagliate surgelate dell’est Europa. E tra i cinque prodotti italiani più contraffatti al secondo posto si colloca il vino.

 

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Photo by Mae Mu on Unsplash

La contraffazione del vino italiano

Infatti aumenta sempre di più il commercio di vini a base di preparati in polvere spacciati per alcuni dei migliori DOC e IGP italiani: dal Barolo al Chianti, passando per il Valpolicella.

Oppure vini con aggiunta di zucchero al mosto per ottenere un vino a gradazione più alta. Pratica vietata – e giustamente aggiungerei – in Italia.

Di recente è finita sulla bocca di tutti, e non per ragioni degustative, la “battaglia” tra Italia e Croazia per l’ottenimento della denominazione IGP o DOP per il vino Croato “Prosek”. La Croazia ha registrato già dal 2004 il marchio figurativo PROSEK in ambito comunitario per il suo vino, insieme al marchio ISTRA PROSEK.

E già su questo aspetto ci sarebbe da discutere in termini di assonanza e confondibilità, soprattutto all’estero, tra il marchio PROSECCO e PROSEK.

Ma la “scaltrezza” di averlo registrato come marchio figurativo consente di riconoscere, anche a prima vista, la diversa connotazione del marchio e, soprattutto, la sua provenienza.

Il problema attuale è il riconoscimento anche per il vino Croato dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP) e della Denominazione di Origine Protetta (DOP).

A rigor di logica i regimi di indicazione geografica dell’Unione Europea “proteggono in modo specifico il saper fare, l’autenticità e le condizioni agroambientali”.

Le indicazioni geografiche comprendono le indicazioni geografiche protette (IGP) e la denominazione di origine protetta (DOP).

Questi regimi tutelano il nome di un prodotto che proviene da una regione specifica e segue un particolare processo di produzione tradizionale.

Per i vini DOP vuol dire che le uve devono provenire esclusivamente dalla zona geografica in cui il vino è prodotto.

Mentre IGP significa che almeno l’85% dell’uva utilizzata deve provenire esclusivamente dalla zona geografica in cui il vino viene effettivamente prodotto.

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Photo by Kate Bezzubets on Unsplash

 

Contraffazione e riconoscimento europeo

Per tutti i regimi di qualità, le autorità nazionali competenti di ciascun paese dell’Unione Europe adottano le misure necessarie per proteggere le denominazioni registrate nel loro territorio.

E dovrebbero prevenire e bloccare la produzione o la commercializzazione illegale di prodotti che utilizzano tale denominazione.

Ma perché è importante preservare queste sigle?

Perché identificano la qualità e la provenienza di un prodotto. E perché garantiscono agli agricoltori e ai produttori un giusto guadagno per la qualità e le caratteristiche del loro prodotto o del suo metodo di produzione.

Inoltre forniscono ai consumatori informazioni chiare e precise sui prodotti e sulle caratteristiche specifiche.

Ecco perché il rischio di confusione nel caso di riconoscimento IGP o DOP per il vino “Prosek” preoccupa i produttori italiani del nostro prosecco.

Se pensi, poi, che il marchio Champagne è protetto così bene che anche Yves Saint-Laurent ha dovuto cambiare il nome a un suo profumo, che si chiamava appunto Champagne, nominandolo “Yvresse” la questione del nostro Prosecco risulta ancora più spiacevole.  

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