
Compro Ergo Sum
Il marchio del portatile con cui sto scrivendo questo post potrebbe darti un’idea della mia personalità.
Se facessi un giro nel mio bagno, la marca del mio profumo ti racconterebbe qualcosa di me.
Il caffè che bevo, il mio smartphone, la mia agenda, la penna che ho in mano o il mio rossetto: sono tutti testimoni della mia personalità, delle mie passioni o del bisogno che ho di dimostrare qualcosa al mondo.
Forse rivelerebbero anche qualcosa sulla mia istruzione, la mia educazione, le simpatie politiche o le mie ambizioni.
Ma questi sono tutti frammenti: nulla mostra più di me come quello che indosso.
Ma siamo davvero cosa indossiamo?
Gli psicologi direbbero che la bassa autostima è un fattore determinante nell’acquisto di un prodotto, anche se è una cosa che non possiamo permetterci.
Una volta che abbiamo soddisfatto i nostri bisogni primari, tendiamo a sviluppare i bisogni di appartenenza e poi bisogni di stima, prestigio e successo, che portano alla realizzazione del sé e delle proprie aspettative.
E come facciamo a comunicare al mondo che noi ce l’abbiamo fatta? Che noi l’abbiamo scalata la piramide?
Con una foto su Facebook oppure una Instagram Stories dedicata a quanto la nostra nuova Louis Vuitton si abbini perfettamente alle nostre décolleté Chanel e al nostro nuovo incarico o ruolo in ufficio.
Poco importa se abbiamo risparmiato mesi per comprarla o se ci siamo indebitati per averla. I bisogni cedono il passo ai desideri, l’acquisto è terapeutico.
Usiamo il brand come un distintivo che offra una visione di noi che rispecchi creatività, novità, successo.
Vogliamo identificarci, essere parte di un gruppo, di un movimento che determini la nostra lealtà.
In un mercato in cui il potere del brand rappresenta una vera e propria dichiarazione identitaria, il possesso deve essere visibile, i loghi devono essere pienamente esposti come dichiarazione di potere.
I beni di lusso sono una fast-therapy senza obbligo di ricetta, farmaci da banco accessibili ovunque, sempre, soprattutto quando ti senti un po’ giù.
Quando vediamo, ad esempio, quel fermaglio placcato argento e palladio, la pelle di vitello Epsom, e pronunciamo il suo nome ci sentiamo davvero un po’ come Grace Kelly.
Non vediamo un oggetto funzionale a uno scopo, non stiamo rispondendo al bisogno di “un contenitore per oggetti”, stiamo soddisfacendo un desiderio.
Perché?
Perché il marchio si è insinuato nella nostra psiche, tessendo una trama fitta fitta di emozioni profonde, a volte travolgenti, impossibili da rifuggire.
A fare da spalla al marketing, che ha come obiettivo quello aiutarci a coltivare il sogno, è arrivato l’e-commerce. Accorciando le distanze, mettendo solo un paio di click tra noi e la borsa dei nostri sogni.
Ma quale sarà il futuro dei marchi di lusso nell’e-commerce?
Quello che negli anni ’20 veniva definito “consumatore medio” o la “casalinga di Voghera” adesso è il “I Millennials”.
I nati nella seconda parte degli anni ’80, convertiti digitali ma non completamente nativi, che ricordano ancora le cabine a gettoni ma sono anche fieri pionieri digitali con lo smartphone in mano e il mondo in tasca.
Se fai parte del mondo dei luxury brand devi prestare attenzione a questa generazione che contribuirà maggiormente alla crescita di questo mercato. Si stima che nel 2024 costituiranno il 50% delle entrate del mondo luxury che varrà oltre 1.260 miliardi di euro.
Considerata l’importanza del digitale nel mercato e il tempo medio speso a reperire informazioni sui brand online, i luxury brand devono continuare o aumentare il loro presidio online, investendo sugli e-commerce per fornire una nuova esperienza d’acquisto integrata e senza interruzioni.